La messa a fuoco
Come si è visto
trattando di lenti e obiettivi una lente proietta la luce proveniente da un oggetto puntiforme
O concentrandola in un altro punto
O' che è l'immagine del primo. L'immagine si trova ad una distanza ben definita dalla lente, la distanza focale
f. Questa distanza dipende dalla distanza dell'oggetto
O. Se
O è a distanza infinita la distanza focale di
O' è minima, se
O è più vicino la distanza focale di
O' è maggiore. NB La distanza focale indicata sugli obiettivi è quella per oggetti posti all'infinito.
È pertanto essenziale che il sensore CCD ovvero la pellicola si trovino alla distanza esatta dalla lente. Se questo non avviene l'immagine del punto non è più un punto ma un cerchio; in questo caso l'immagine si dice sfocata.
Per dare un'immagine nitida l'obiettivo deve quindi essere messo a fuoco (= posto esattamente alla distanza focale da pellicola o sensore).
Gli obiettivi fotografici hanno per questo un meccanismo che permette di spostare la lente avanti e indietro fino alla distanza corretta.
Gli obiettivi classici sono manuali nel senso che lo spostamento si ottiene ruotanto a mano una ghiera di gomma.
Oggi la maggior parte degli obiettivi sono
autofocus nel senso che lo spostamento della lente è gestito da un motorino elettrico pilotato dalla fotocamera secondo un qualche metodo di ricerca del fuoco.
In entrambi i casi l'obiettivo può essere spostato entro un certo intervallo che va da una distanza minima corrispondente a oggetti a distanza infinita a una distanza massima corrispondente a oggetti posti a breve distanza. Ogni obiettivo ha una sua minima distanza di messa a fuoco. Un semplice espediente per ridurre questa distanza è quello di inserire un tubo di prolunga tra fotocamera e obiettivo; possibile solo su fotocamere a obiettivi intercambiabili!.
Gli obiettivi che hanno una minima distanza di messa a fuoco molto piccola sono chiamati macro, e permettono di ottenere anche immagini più grandi dell'oggetto reale.
È evidente che una lente con grande
apertura relativa (p.es. 2, 2.8, 4) produrrà cerchi di confusione di maggiori dimensioni. In altre parole a maggiori aperture la messa a fuoco è più critica, un piccolo errore di messa a fuoco produce immagini visibilmente sfocate. Viceversa usando aperture piccole (p.es. 11, 16, 22 ...) il cerchio di confusione è più piccolo ed è più facile ottenere immagini a fuoco e quindi nitide. Va detto però che per aperture molto piccole interviene il fenomeno della diffrazione che provoca una perdita di nitidezza!
Questo comporta anche che ad aperture maggiori vengono messe a fuoco solo gli oggetti che stanno alla distanza corretta, con un margine molto piccolo. Con aperture piccole il margine è maggiore e si ottengono immagini nitide di oggetti posti a distanze diverse. Il margine entro il quale si ottengono immagini accettabilmente nitide si chiama profondità di campo.
Da quanto si è detto risulta evidente che la profondità di campo è maggiore per obiettivi a corta focale, minore per quelli a lunga focale.